Di Antonio Indovino
Richebourg Grand Cru AOC, Henri Jayer, 1981
Ci troviamo nel Nord-Est della Francia, esattamente nella Côte de Nuits, un sottodipartimento della Côte d’Or, nella Regione della Borgogna.
È qui che Henri Jayer (poco più che ventenne), verso la metà degli anni ’40 (durante la seconda guerra mondiale), iniziò ad occuparsi delle vigne di famiglia al posto dei due fratelli chiamati alle armi. Fu così che mise in pratica gli insegnamenti universitari del suo maestro René Engel, docente alla facoltà di Enologia a Digione, iniziando a vinificare le uve delle parcelle di proprietà ad Echézeaux, Vosne Romanée e Cros-Parentoux (confinante con Richebourg). La sua grande capacità di lettura del territorio, unita alle sue notevoli competenze sul microclima e sulla geologia della Côte de Nuits, lo portarono ad individuare immediatamente le grandissime potenzialità del Cros-Parentoux, su cui scommise fin da subito con l’intento di elevare nettamente il livello qualitativo dei vini lì prodotti.
Mme Noirot-Camuzet, nipote di Etienne Camuzet, nonchè proprietaria di due piccole parcelle (rispettivamente 0.3523 e 0.0462 ha) all’interno dell’AOC Richebourg Grand Cru, stinse un accordo affinchè Henri si prendesse cura delle sue vigne.
Perchè proprio Jayer? Mme Camuzet fu affascinata dall’approccio rivoluzionario di Henri, soprattutto nella vinificazione: estremizzò il concetto di terroir (inteso come punto di partenza fondamentale), l’importanza di diversificare le epoche di raccolta in funzione della maturazione delle uve, l’uso di barriques sempre nuove, e le fermentazioni, che erano molto lunghe (malolattica compresa) e rigorosamente spontanee, ad opera dei lieviti indigeni, e precedute da una sorta di pre-macerazione a freddo che durava fino a 4 giorni, durante i quali si estraeva “tanta frutta e tannini meno ruvidi”.
È così che nel 1945 è iniziata la storia di un vino tanto leggendario quanto imitato e falsificato, con l’accordo che si è rinnovato di anno in anno fino al 1987, nonostante la scoparsa di Noirot-Camuzet nel 1959. La volontà dei Meo-Camuzet di imbottigliare sotto il proprio marchio il Richebourg si è concretizzatta con un passaggio graduale iniziato nel 1985 e conlusosi nel 1987, periodo durante il quale Jayer è stato comunque consulente ed ha continuato ad imbottigliare a suo nome una sola barrique per annata.
Nel 1995 Henri decise di defilarsi nel panorama viti-vinicolo, cedendo le sue vigne al nipote Emmanuel Rouget che seguì personalmente fino al 2001, anno in cui mise fine alla sua coarriera di vigneron, per poi scomparire il 23 settembre del 2006: proprio nel giorno in cui ebbero inizio le vendemmie nella Côte d’Or.
Quest’oggi sono qui a raccontare un’esperienza che mai avrei immaginato di vivere in vita mia.
Il merito è di P. D. (per motivi di privacy non riporto integralmente il suo nome), comandante di un Mega Yacht, che ho avuto la fortuna di conoscere allo Yacht Club di Marina di Stabia.
Un grandissimo appasionato di vini che ho incontrato per la prima volta nel 2013 e che da subito si è innamorato della mia grandissima voglia di conoscere ed allargare gli orizzonti (questa è stata la frase con cui mi ha salutato la prima sera che è stato a cena in terrazza).
Da allora ci rivediamo tutti gli anni, ed ogni estate mi invita a condividere con lui vini come questo di cui sto per parlarvi.
Quest’anno ho avuto, grazie a lui, la fortuna di degustare il millesimo ’81 del Richebourg di Jayer.
Di seguito vi riporto le mie personali imprezzioni.
Nel calice il vino si presenta con una vivida, consistente e fitta veste aranciata dai riflessi granati.
Al naso affascina per la sua grande evoluzione in bottiglia, la stratificazione dei profumi che ne consegue e la loro netta e precisa riconoscibilità.
Su tutti prevalgono i sentori di fondo di pelliccia e cuoio, accompagnati da rimandi di frutti di bosco in confettura, di erbe aromatiche essiccate, di note terrose di sottobosco e tartufo, di cacao e tabacco, di liquirizia e di moka.
In bocca è disarmante per la sua eleganza e piacevolezza di beva. L’ingresso è si teso, complice anche l’acidità da vendere, ma allo stesso tempo avvolgente ed appagante, grazie anche ad una stimolante sapidità ed una interminabile chiusura di bocca che richiama soprattutto le note scure, terrose ed animali.
Ho avuto modo di apprezzare il Richebourg di Jayer intorno ai 16°C in un ampio calice appositamente ideato per i Burgundy Wines, dopo che fosse stato stappato la mattina.
Non c’è stata opportunità di riflettere sull’abbinamento, tale è stata l’emozione nel degustare uno di quei vini unici al mondo, tant’è vero che, al sol pensiero, mi tremano ancora le mani.
Spero che il fattore emotivo non abbia prevalso sulla razionalità e che non si trattasse di un falso. Forse non potrò mai averne la certezza assoluta, ma preferisco credere che si sia semplicemente avverato un sogno nato quando ho iniziato a studiare la viticoltura europea.
Il prezzo del biglietto?
Le quotazioni del Richebourg di Henri Jayer superano i 14.000€………..
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
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